DragonHeart è un film coraggioso. In anni dove il fantasy era ingiustamente considerato uno squallido balocco per bambini porta su schermo una storia solo apparentemente infantile. Questo calma le acque all’esterno e all’interno si sviluppa pian piano realizzando un’ideale classico ma azzeccato di laica clemenza e giustizia, mettendo in campo un drago che, nato cattivo, supera e vince la propria natura di malvagità per fare del bene alla razza umana, che nonostante la sua violenza e la sua acerbità non è diversa da come lui stesso era stato. Eppure, nonostante questa profondità per niente ovvia, il film non trascura il proprio lato leggero, sviluppando momenti e personaggi che risultano così arguti e divertenti, oltre che dissacranti nei confronti dello stesso genere fantasy. Gli attori in tal senso fanno molto bene il loro lavoro e presentano un buonissimo lavoro di immedesimazione, che soffre però decisamente della successione delle scene, eccessivamente sagomate e dotate di stacchi troppo netti specialmente all’inizio. Comprendendo questo come precisa scelta registica per non appesantire troppo narrazione o durata, va tuttavia osservato che in tal modo si perde paradossalmente di fluidità e costruzione nei particolari della trama, cose che invece dovevano godere di una cura al limite del certosino considerando il genere. In parte questo viene comunque compensato da alcune sequenze molto ispirate, come un interludio notturno e il finale, triste ma decisamente epico.
Il regista porta in vita sullo schermo un mondo originale eppure familiare, vivo e pulsante nonché rispettoso dei precisi sostrati culturali a cui fa riferimento. Utilizzando le selvagge location slovacche il film ricostruisce un medioevo di stampo gallese lontano da corazze lucide e mantelli che svolazzano, credibile proprio nel suo essere straccione e fangoso, miscuglio indistinguibile di ingiustizia e ideali cavallereschi, dolore e rivalsa, dominatori e dominati, contorniato da castelli fatti di pietre a momenti attaccate con lo sputo. Il drago animato dall’Industrial Light & Magic, stessi artisti di Jurassik Park, presenta per essere gli anni Novanta un livello di dettaglio allarmante, ingannando egregiamente la telecamera che fa apparire la plastica di cui è fatto quasi vera.
Incredibile il lavoro svolto dal punto di vista audio: grande plauso va fatto alla carismatica e insostituibile voce di Gigi Proietti nel suo interpretare proprio il suddetto drago, oltre alle musiche eterogenee ed ispirate, capaci di rendere le scene finali potenti ed espressive così come di fornire un commento scanzonato e giullaresco.Al di là di questo e degli inutili sequel scadenti prodotti negli anni a venire, il film merita comunque considerazione non solo da parte degli appassionati, ma anche e soprattutto da parte dei non avvezzi, in quanto massimo esponente del cinema fantasy antecedente a Il Signore degli Anelli.
Voto: 4.0/5
Cavaliere Bardo 29/5/2765
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