Bentornati
all’angolo retrospettive della Bottega! In questa seconda parte dedicata a Dynasty Warriors ci occuperemo del
periodo moderno del brand, caratterizzato da un ampliamento dei formati,
qualche passo falso ma anche da notevoli spinte di innovazione.
Rilasciato
per la prima volta nel febbraio 2003 e in seguito arrivato in Europa a giugno
dello stesso anno, Dynasty Warriors 4
continuò ad assodare le fondamenta del proprio gameplay. Vennero introdotti gli
attacchi caricati anche in volo, aggiustando allo stesso tempo la cadenza di
premuta dei tasti per quelli pesanti. Un ulteriore cambiamento si ebbe nel
sistema di gestione delle armi: ora il danno delle stesse sarebbe aumentato con
il loro uso, fino ad un massimo di 10 livelli di potenza. Per quanto riguarda
il cast, vennero aggiunti tre nuovi personaggi: Cao Ren figlio di Cao Cao, Zhou
Tai luogotenente dei Wu e Yue Ying, la moglie di Zhuge Liang. Da un punto di
vista narrativo l’introduzione più importante fu tuttavia un’altra, ovvero la
differenziazione delle storie e dei personaggi in base alla fazione di loro
appartenenza, correlate da campagne dedicate a singoli personaggi come Lu Bu e
Dong Zhuo. Graficamente non si registrano particolari miglioramenti, abbiamo un
nuovo aumento degli effetti di luce e del dettaglio delle texture, ma l’insistente
presenza del solito nebbione a pochi metri di distanza generò cascate di
critiche, così come le animazioni legnose. Oltre ad essere per la prima volta tradotto anche in italiano almeno nei sottotitoli, questo quarto capitolo fu anche il primo ad essere convertito per PC in
Europa: la suddetta versione, chiamata Dynasty
Warriors 4 Hyper, si dimostrò ben presto la migliore presente sul mercato,
in quanto capace di eliminare la nebbia sul campo di battaglia e con un
potenziamento dell’IA delle truppe.
DYNASTY WARRIORS 5
L’ultima
iterazione del brand sulla PlayStation 2 porta la data di febbraio-giugno 2005.
La copertina già diceva tutto: si sarebbe tornati ad un’impostazione totalmente
incentrata sulle singole storie, ciascuna raccontata in prima persona dall’ufficiale
interessato. Il gameplay, ormai rodato, non venne assolutamente stravolto: l’unico
cambiamento fu il prolungamento delle serie di combo, ora esteso fino a 7-8
colpi consecutivi. Scartato il sistema di potenziamento delle singole armi, si
tentò la via del loro peso, influente sulla velocità di attacco. Vennero
inoltre eliminate le guardie del corpo multiple, in favore di un singolo
alleato liberamente intercambiabile prima di ogni battaglia e reclutabile
spendendo i denari trovati sul campo.
Ma
è sul fronte grafico che si registrarono i maggiori miglioramenti: dopo un’intera
generazione i tecnici Koei riuscirono finalmente a togliere la fastidiosissima
nebbia di guerra che li aveva accompagnati per tutti questi anni, mantenendo al
contempo un livello di dettaglio pari (se non superiore) agli episodi
precedenti. L’utilizzo con un certo criterio del motion capture, inoltre,
permise animazioni decisamente più fluide ed ispirate, di chiara ispirazione
cinematografica.
Nonostante
il sistema efficace e solido, tanto da essere palesemente riciclato nel secondo
capitolo della serie parallela Samurai
Warriors, i consensi di critica e pubblico si mantennero tiepidi. Il gioco
vendette, ma la critica che venne maggiormente mossa a Koei fu quella di non
aver voluto osare, limitandosi semplicemente ad un boost grafico notevole ma fine
a sé stesso.
DYNASTY WARRIORS 6
La
Koei rimise le mani sulla propria creatura per la seconda volta,
un lavoro che durò ben due anni e mezzo e segnò il passaggio all’allora
next-gen di console. Per Dynasty Warriors 6, uscito in Giappone a novembre 2007
e l’anno successivo nel resto del mondo, il gameplay venne rifatto
completamente da capo. Venne messo a punto il cosiddetto Sistema Renbu, che
assegnava agli attacchi un danno direttamente proporzionale alla durata della
combo, con nessuna limitazione alla durata della stessa. A fronte di un sistema
di armi molto semplificato venne invece adottato un sistema di crescita ad
albero unico per ciascun personaggio, con potenziamenti da sbloccare
utilizzando i vari punti esperienza accumulati: venne inoltre ripensato il
concept generale dei campi di battaglia, togliendo i punti di respawn fissi di
avversari e introducendo un blando sistema di conquista delle basi tramite lo
sfondamento delle difese e il combattimento quasi strada per strada, con tanto
di obiettivi facoltativi per ogni missione che se portati a termine donavano
esperienza extra. Un sistema quindi molto profondo e variegato, a cui però era
stata sacrificata tutta l’accessibilità che aveva caratterizzato il brand fino
a quel momento.
Graficamente
la next-gen non venne sfruttata a dovere: le animazioni risultavano sì
pregevoli, grazie ad un uso ancora più massiccio del motion-capture che faceva
assomigliare le movenze a quelle dei classici film di arti marziali, ma per il
dettaglio generale ci si limitò a portare in HD la generazione precedente. La
decisione di aumentare il numero di elementi a schermo, poi, ebbe la sfortuna
di causare fastidiosi rallentamenti del motore grafico nelle situazioni
affollate. Questo, unito all’aumento generale della difficoltà e la limitazione
dei salvataggi, che talvolta obbligava a ripetere sezioni di ore intere, fecero
classificare questo sesto capitolo della saga come un esperimento riuscito solo
in parte oltre che apprezzato da pochi. Da segnalare l’incremento di qualità
delle musiche, ora orecchiabilissime, e finalmente i sottotitoli in italiano.
E
anche questo episodio della Retrospettiva è andato. Nel prossimo episodio
parleremo del presente della serie, oltre che del suo futuro. Grazie della
lettura e continuate a seguirci!
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