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lunedì 1 ottobre 2012

Review - WAY OF THE SAMURAI 3


Da qualunque parte soffi il vento, dirigersi su di un genere esplicitamente di nicchia è, specialmente nel mercato videoludico, ben più di una scommessa. Per certi versi, sarebbe come puntare gli stipendi di una intera azienda sul tiro di dadi al tavolo da gioco o bluffare clamorosamente giocando a poker. E il rischio ovviamente è troppo grande per cercare di portarlo fuori dal contesto originario da dove è nato, è una cosa che sa quasi di follia, di anticapitalismo, di soldi buttati al fuoco. Anche se in contesti come quello anglosassone e americano questa potrebbe sembrare una considerazione teatralmente esagerata, l’idea di portare in Europa un gioco come Way of the Samurai 3 potrebbe farci pensare che di esagerato non c’è assolutamente nulla.





L’idea di fondo di questo prodotto (titolo originale 侍道3, Samurai Do 3) è decisamente semplice: si tratta di un action-free roaming caratterizzato da bivi di trama in un’ambientazione chiusa, completamente popolata ed interattiva. Il contesto dove ci si muoverà, come è ben facile immaginare, è quello del feudalesimo giapponese del XVI secolo (per la precisione siamo attorno al 1560) e l’ambiente è quello di una piccola regione fittizia recante il nome di Amana, dove si confrontano tre fazioni: il clan Fujimori, comandato dal potente signore della guerra Shuzen, gli Ouka, rimasugli del precedente clan Sakurai usurpato da Fujimori e i pacifici contadini del villaggio Takatane. Su tutta la regione incombe comunque l’ombra minacciosa di Oda Nobunaga, deciso ad impadronirsi di ogni fazzoletto di terra con cui viene a contatto.

Dopo una veloce creazione del nostro ronin senza nome, che potremo personalizzare scegliendo faccia, abbigliamento ed eventualmente qualche accessorio, ci ritroveremo a girovagare liberamente per le otto aree uniche di gioco, scegliendo cosa fare, chi assecondare e come sviluppare la storia. Questa infatti si dipanerà attraverso una serie di eventi precisi (indicati sulla mappa di gioco come dei punti esclamativi) che attiveremo recandoci nel luogo indicato. Saremo liberi in ogni momento sia di osservare passivamente l’evolversi degli eventi, scusarci e andarcene (interrompendo così il tutto) oppure tirare fuori la katana e combattere contro i presenti. Oltre alla trama principale vi sono anche varie missioni secondarie, durante lo svolgimento delle quali si disattivano i nodi di trama, che ci permetteranno di guadagnare valuta necessaria per acquistare accessori, oggetti curativi e componenti. Purtroppo queste ultime non godono di moltissima cura e anzi si prospettano come decisamente lineari e per certi versi quasi velleitarie, tese solamente ad accumulare denaro.
Il combattimento segue una struttura decisamente canonica anche se tutt’altro che frenetica: una volta tirata fuori la lama dovremo imparare a dosare con una certa tecnica attacchi veloci, pesanti e la parata, oltre che il calcio per rompere la difesa degli avversari, che comunque verranno sempre agganciati e affrontati uno per volta. Il sistema è decisamente punitivo e anche ai livelli normali la sfida è notevole, rendendo di fatto impossibile premere a caso i tasti o andare all’assalto senza criterio.

Ogni volta che moriremo, raggiungeremo un finale o lasceremo Amana i nostri risultati verranno archiviati e ci verrà assegnata una valutazione e un titolo, che tiene conto di tutte le azioni che abbiamo svolto nella partita appena conclusa; potremo poi ricominciare da capo il gioco con armi, potenziamenti e oggetti precedentemente accumulati in modo da far diventare il nostro personaggio sempre più forte e potente. Man mano che aumenteremo valutazioni e statistiche ci verranno poi affidati nuovi bonus e possibilità, mentre i finali saranno archiviati in una voce apposita del menu e da lì rivedibili a piacimento. In tal senso gli sviluppatori hanno voluto puntare tutto sulla rigiocabilità estrema, rendendo possibile il raggiungimento di una finale anche semplicemente in un paio d’ore. Per rendere leggermente più vario il gameplay totale è stato infine inserito un più che discreto sistema di crafting, limitato alle katane e alle naginate (le due tipologie di armi presenti nel gioco) che attraverso l’acquisizione di componenti, suddivisi in pomo, impugnatura, guardia e lama, e l’aiuto di uno dei tanti fabbri della regione, potremo creare e migliorare la lama che più si addice, per statistiche od estetica, al nostro gusto.


Il comparto tecnico è, senza tanti giri di parole, gravemente insufficiente. I modelli poligonali dei personaggi sono assolutamente mediocri nella modellazione e nella texturizzazione con espressioni facciali che durante le sequenze animate risultano ai limiti del grottesco, mentre le ambientazioni soffrono di un pesantissimo aliasing e di una cronica mancanza di dettagli; le aree di gioco sono otto ma tanto, troppo ristrette e gli NPC secondari sono tutti uguali tra di loro. La maggior parte dei dialoghi sono solamente scritti a schermo e tra l’altro anche con un carattere decisamente fin troppo piccolo, mentre il gameplay risente di scelte di design che oramai appartengono ad una generazione precedente, come l’obbligo di passare per due menu (e un caricamento) per leggere la mappa e la possibilità di poter accettare un solo incarico per volta. Si nota la completa e totale mancanza di qualsiasi tutorial nonostante la decisa pesantezza del sistema di gioco (che probabilmente non riuscirete ad assimilare prima di una partita intera) e non poter scegliere se concludere la partita o ripartire dall’ultimo salvataggio senza dover per forza resettare e tornare al menu principale ogni volta che si muore accidentalmente rende il tutto molto frustrante.

Discorso a parte va fatto invece per la colonna sonora, di assoluta qualità seppur realizzata con pochi strumenti, mischiando strumenti tradizionali come il biwa e i taiko giapponesi con chitarre acustiche, violini, trombe e persino un sitar. I brani che ne derivano sono delle alterne rincorse di chitarra acustica e violino, generanti melodie malinconiche e dolcissime, con sprazzi di distorsione e rullante per le battaglie. Il doppiaggio in inglese è comunque scadente, quindi il consiglio è quello di impostare da subito le voci giapponesi, decisamente migliori e più calanti nel contesto.


Artisticamente parlando, invece, il discorso è diverso. Il design dei personaggi chiave, così anche come quello dell’anonimo protagonista, seppure abbastanza stereotipati nei vari ruoli (la principessa ambiziosa, il signore della guerra, il doppiogiochista, il contadino anziano eccetera) risulta ottimamente caratterizzato per tutti, oltre che anche decisamente sviluppato dal punto di vista psicologico, cosa che ha permesso la creazione di trame e relativi finali molto approfonditi, anche se la maggior parte di essi risulta essere decisamente drammatica. La ricostruzione dei costumi e delle architetture dell’epoca è sobria, puntuale ed efficace, senza risparmiarsi qualche tocco di classe qualitativo. Amana è una terra feudale giapponese che sa molto di “non-luogo”, di un posto che si trova dovunque e da nessuna parte, così com’è progettato per restituire la sensazione di raggruppare a livello di videoludo tutto ciò che si è concepito negli ultimi cento anni sull’epoca Sengoku, senza scadere nel mito o nell’iconicità a tutti i costi. In effetti, il feeling restituito è decisamente kurosawiano: oltre alla già citata assenza di fronzoli estetici, vi ritroviamo tutte le emozioni più o meno collettive che trasmetteva il celeberrimo regista, variegandole grazie alle scelte dei giocatori e dalla loro volontà di scoprirne i non pochi segreti diligentemente nascosti dai programmatori.
Il mondo di gioco, poi, gode di una capacità di “adattamento” alle azioni del giocatore assolutamente non comune oltre che profondamente coerente: uccidete aggressori e vi etichetteranno come assassino, parlate con tutti e vi ascolteranno e daranno missioni, entrate a far parte di un clan e i suoi membri vi saluteranno quando passerete loro accanto, massacrate innocenti e ogni guardia armata vi attaccherà a vista. Persino il semplice andare in giro con la lama sguainata susciterà reazioni immediate e credibilissime.


Way of the Samurai 3 è un prodotto di nicchia, inconsigliabile al grande pubblico e probabilmente destinato a rimanere nel buio, apprezzato solo in qualche ambiente specifico e soprattutto specialistico. Un gioco dalle innegabili qualità e potenzialità ma che per essere compreso e apprezzato appieno comporta l’imprescindibile conoscenza a priori di certi sostrati storici e culturali che in Europa non sono molto frequentati, oltre che l’accettazione di passare per una struttura ludica praticamente a tritacarne. La mancata traduzione in italiano inoltre limerà ancora di più coloro che sceglieranno di cimentarsi in questa avventura.
Se avete la volontà, la pazienza e la passione di voler scavare in un simile mondo probabilmente l’avrete già comprato o deciso di dargli un’occhiata prima di arrivare in fondo a questa recensione, ma se la grafica old-gen vi spaventa o i samurai pensate siano solo gli stuzzicadenti lasciate perdere, questa per voi non sarebbe una nicchia ma un loculo.


Voto 60/100


Cavaliere Bardo 1/10/2764


Scheda Tecnica

Casa Acquire | Sviluppatore: Spike | Distributore GameBridge | Formati Disponibili PlayStation 3, Xbox 360 | Formato Esaminato PlayStation 3 | Prezzo € 29,90 (PS3), € 39,90 (Xbox 360) | Specifiche tecniche 1 Giocatore, 8 GB HD, TV HD 720p o superiore | Lingua Inglese (testo a schermo, sottotitoli e parlato), Francese, Tedesco (testo a schermo e sottotitoli), Giapponese (parlato) | Multigiocatore Non presente | Età consigliata 16+


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