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martedì 2 ottobre 2012

Review - DRAGON QUEST L'ODISSEA DEL RE MALEDETTO



Contrariamente a quanto pensano in molti, il gioco di ruolo giapponese (JRPG) non è nato da Hironobu Sakaguchi e dalla sua creatura Final Fantasy. Il vero artefice della nascita di tale genere è bensì Yuji Horii, il padre della serie di Dragon Quest. Iniziata sul NES e chiamata inizialmente Dragon Warrior, essa proponeva un tipo di gioco che fin dalle primissime istanze si confermava come qualcosa di diverso, di seminale. Totalmente senza vincoli al di fuori del salvataggio, ma per questo ostile e inappellabile nei confronti dell’utente, obbligava l’utente alla sublimazione assoluta nel percorso di crescita e autoperfezionamento fisico e spirituale per fargli sconfiggere il potente e malvagio DragonLord. Ci sarebbero voluti diciassette anni e quattro generazioni videoludiche prima che un capitolo della saga (l’ottavo) venisse pubblicato in Europa. Dragon Quest VIII: Journey of the Cursed King, questo il nome del prescelto, vide la luce nel 2006 su una PlayStation 2 a un passo dalla pensione, spogliato per ovvi motivi del numero sulla copertina.




In una versione fittizia del pianeta Terra composta da soli tre continenti il regno di Trodain subisce un pesante quanto inspiegato attacco da parte di un folle mago travestito da giullare chiamato Dhoulmagus, che trasforma il re Trode in un ranocchio umanoide, la figlia Medea in una cavalla bianca e fa precipitare il regno in una immobile devastazione avvolta da rovi. In tutto questo, un eroe senza nome, una semplice guardia del castello, sfugge per motivi altrettanto inspiegati alla maledizione che ha afflitto il regno. Dopo aver agganciato Medea ad un carro per non destare sospetti e subito trovato un alleato nel fuorilegge pentito Yangus, i quattro si imbarcano in un’avventura per rimettere le cose a posto.
La trama che tiene insieme il tutto è, semplicemente, banale che più banale non si puote. Nel corso della storia si uniranno all’Eroe e a Yangus altri due personaggi che si ritroveranno coinvolti in una serie di avventure che sembrano non avere fine, che li porteranno ad attraversare il mondo intero in lungo e in largo, alla ricerca di un metodo valido per risolvere un enigma o accedere ad una zona preclusa ma vitale. Come è lecito attendersi, il perseguimento di rimuovere la maledizione da re sarà solo uno specchietto per le allodole per mettere sul tavolo al momento giusto la solita carta sulla salvezza del mondo. Nondimeno però questo non vuol dire che l’epopea risultante sia noiosa o discendente, anzi: c’è il coraggio, c’è l’epica, c’è anche autoironia. Tiene svegli quindi e riesce, nella sua ingenuità dell’eroe impavido che cerca avventura, a stemperare gli attimi di frustrazione che arrivano sempre in tempi non sospetti.


La vera protagonista però non è la combriccola di eroi più o meno casuali, ma la terra stessa su cui si svolge la vicenda. I continenti, completamente esplorabili da subito (sarà necessario invece proseguire con la storia per potersi spostare tra essi), sono grandissimi e variegati nelle ambientazioni, negli abitanti, nei regni e nei mostri che li abitano. Ogni regno e città ha qualche macro problema in cui i quattro verranno inevitabilmente coinvolti, in una sorta di missione tanto personale quanto messianica. Ma se è vero che potete esplorare a piacimento, non appena proverete a spingervi in una zona oltre le vostre possibilità ci penseranno i frequenti combattimenti casuali a farvi desistere. La natura fondamentalista del titolo ritrova così ragione di essere nel recupero del samuraico percorso di crescita dei personaggi. Il gioco praticamente obbliga ad andare in cerca di combattimenti casuali in giro per il mondo, governati da un sistema basato sulla rotazione dei turni rigido, inquadrato e pianificato anche se incredibilmente equilibrato, raffinato e strategico.
I personaggi iniziano con delle statistiche irrisorie contro un mondo apertamente intenzionato a pestarli brutalmente, contrastante con il look cartoonoso della grafica. Non potrete permettervi errori all’inizio e anche a situazioni avanzate le cose non cambiano di molto. L’interdipendenza dei personaggi è totale e basta che uno solo di loro vada K.O. per farvi perdere quasi automaticamente la battaglia, specie e soprattutto contro i frequenti boss. Come contraltare, le cose da fare in questo gioco di ruolo sono un numero abnorme esattamente come i vari segreti.


Comparto grafico di grande spessore. L’adozione del Cel-Shading ha permesso un livello di dettaglio considerevole senza dover necessariamente muovere quantitativi spropositati di poligoni, permettendo così il disegno di grandi pianure e montagne verdi come la speranza, piene di fiumi, casette, curiosità, scrigni, animali selvatici, totalmente priva di grandiosità autoreferenziale. Il prezzo in tal senso è rappresentato da un continuo, irritante affastellarsi di tanti micro-caricamenti inutili anche per le sezioni che visiteremo di più (il semplice menu dei personaggi ci mette tre secondi a comparire a schermo). L’atmosfera è teatrale, garbata e raccolta, in una visione onirica, da serie anime shonen dalle centinaia di episodi, complice anche il carismatico ed ineccepibile design di personaggi e mostri ad opera di Akira Toriyama, uno dei più grandi fumettisti giapponesi di tutti i tempi, contornata da ambientazioni che portano in vita un medioevo che sembra cantato dalle corde di un liuto. Musica orchestrale delicata e sempre presente, doppiaggio inglese piacevole, traduzione italiana di alto livello, essenziale per comprendere il tutto visto l’uso talvolta massiccio di slang inglesi.


Dragon Quest l’Odissea del Re Maledetto è la massima conseguenza del gioco di ruolo classico elevata alla potenza della terza dimensione. E’ un cammino pesante e fatalista, che rifiuta ogni nuova strada scavata negli ultimi anni e torna solo sulla propria, collaudata via. Che piaccia o no è solo questione di gusto personale. E gusto personale è anche il riconoscere o meno la sua codardia di fondo, di non aver voluto (o potuto) osare, di aver testardamente ripescato le radici a due dimensioni della proprietà intellettuale e averle portate in tre dimensioni, senza assolutamente provare a limare gli evidenti limiti che sono ormai più manifesti che mai. Dragon Quest, inventando gli JRPG, ha inventato anche la fonte insieme della loro più grande forza e della loro più grande debolezza, cioè il fatto di essere giochi per pochi. Ma questi pochi devono comprarlo e finirlo, punto e basta.


Voto: 88/100


Scheda Tecnica

Casa Square-Enix | Sviluppatore: Level-5 | Distributore Halifax | Formati Disponibili PlayStation 2 | Formato Esaminato PlayStation 2 | Prezzo € 49,90 | Specifiche tecniche 1 Giocatore, 178 KB minimi su Memory Card, compatibile controller analogico con levette, compatibile vibrazione | Multigiocatore Non presente | Età consigliata 12+

 Cavaliere Bardo 2/10/2765

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