L’ultima
frase di Alex Mercer nel primo Prototype
era “Cosa sono diventato? Qualcosa di
meno di un essere umano… Ma anche qualcosa di più”.
Queste
erano le giuste premesse per un seguito. Ma gli ormai sciolti Radical
Entertainment non si lasciarono abbindolare, e per Prototype 2 si impegnarono per uno sconvolgente capovolgimento di
fronte. L’ambientazione rimase la stessa, ma cambiarono protagonista: questa
volta impersoniamo non un virus senziente che non sa di esserlo, bensì un
essere umano perfettamente consapevole. La maturità del brand si manifesta
dallo stesso prologo, ora non più una distruzione insensata di 10 minuti ma una
storia ben precisa di ben 40, che mostra il background di Heller e le sue
ragioni per andare a caccia di Mercer, qui divenuto villain.
Una
cosa che comprensibilmente, non è piaciuta a tutti. Ma a chi vi scrive
decisamente sì. L’approfondimento del background rende Heller un personaggio di
spessore, condivisibile. Assolutamente stereotipato, questo è vero, ma proprio
per questo comune, empatico. Al contrario del prevalere in un obiettivo
egoistico di sopravvivenza e di riottenimento dei ricordi, andando quasi alla
cieca, il sergente James Heller sa esattamente quello che vuole, in parte anche
dove andare a trovarlo. Ha una famiglia da riunire, dei comprimari da
proteggere, una vendetta da compiere. E’ animato da un sincero risentimento nei
confronti dell’autorità, qui rappresentata dagli estremisti della Blackwatch,
che quando è stato contagiato prima lo hanno usato come topo da laboratorio e
dopo, quando hanno scoperto che il topo mordeva, hanno cercato di incenerirlo
come una scarpa vecchia in una discarica.
E
nonostante tutta la rabbia che lo anima, non è un bruto. Evita quando possibile
i danni collaterali, cerca di salvare i civili e non di ignorarli. Nelle ultime
fasi di gioco arriva anche a fare distinzioni tra la Blackwatch e i singoli
individui che la compongono. Ha capito benissimo che la sua missione sarà
qualcosa di amaro da compiere, ma la speranza che un pezzo della sua famiglia
sia sopravvissuto lo manda avanti. Quando poi Mercer stesso vaneggia riguardo
all’essere una nuova tappa dell’evoluzione, definendo la razza umana come
stagnante e morente, Heller rifiuta tutto questo. Nel paradosso
dell’acquisizione di superpoteri si mostra in tutta la sua umanità, non
rinnegandola bensì esibendo indirettamente orgoglio nell’averla, nel bene e nel
male, nella salvazione di sua figlia e di se stesso. La stessa Dana Mercer ha
passato il punto di non ritorno e ha capito che ormai Heller è l’unica cosa tra
una possibile normalità e un’apocalisse virale.
Prototype
2 non ha ottenuto il successo meritato, troppo oscurato da produzioni seriali,
chiamate al dovere e puristi brontoloni. Ma merita, proprio per questa
dimensione umana che spesso si tende a dimenticare nel caos delle esplosioni di
un fumettone ancora una volta fatto con criterio.
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