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sabato 29 giugno 2013

Riflessione - THE LAST OF US



Ho finito da poche ore la trama principale di The Last of Us. Mi ero ripromesso di recensirlo in tempi brevi, di darvi la mia opinione sull’ultimo nato dei Naughty Dog.

Vi sembrerà strano che stia parlando in prima persona. E’ una decisione che ha un perché strettamente correlato alla mia decisione di non recensire questo gioco. La critica l’ha già sviscerato per bene, e si è sperticata sulla sua grandezza. Ci hanno preso in pieno, è un capolavoro di quelli che ti capitano una volta ogni dieci anni se sei fortunato. Mi sono detto che una recensione entusiastica in più o in meno non avrebbe fatto differenza. Quello che potrà rappresentare un contributo reale alla fama di questo gioco, forse, sarà cercare di raccontarvi cosa ha scatenato nella mia mente di Bardo l’avventura di Joel ed Ellie. Parlerò a braccio, quindi chi non ha finito il gioco e non vuole spoiler farebbe bene a non procedere con l’ascolto. Gli altri, aspettino un momento in modo che possa creare un po’ d’atmosfera…
 


… Ecco fatto.

Non ho paura a dirlo: con tutto il dovuto rispetto, ho sempre considerato i Naughty Dog degli sviluppatori ultra-sopravvalutati. Ero rimasto deluso dalla struttura punitiva e insipida della loro trilogia su Jak and Daxter. Continuavano a riciclare un gameplay che aveva mostrato evidenti segni di abuso già da Warped e a nulla servivano le introduzioni action come il free-roaming o le armi da fuoco. La trilogia di Uncharted non la toccai nemmeno con un bastone. The Last of Us lo presi tirato dalle recensioni entusiastiche ma vi arrivai, appunto, prevenuto.

Non mi sono mai sbagliato tanto in 16 anni di vita videoludica.

Non ho mai digerito i survival, ma so riconoscere un giocone. La storia ha delle radici scientifiche, la ricerca è di stampo classico, un viaggio da compiere in degli USA devastati dall’epidemia del fungo che zombifica e dal quale non c’è ritorno. L'inizio di tutto lo rivivi come incipit, ed è già una martellata sul cuore per quello che mostra, per la psicologia che mette in campo. Dopo il titolo, sobrio ma consumato, si sposta tutto a vent'anni dopo. La società non è crollata, ma non è ridotta bene. Gli umani hanno tirato fuori il loro lato peggiore. Si uccidono tra di loro per le poche risorse rimaste. Joel c'è ancora, si è adattato e fa il contrabbandiere, deve consegnare una ragazzina di nome Ellie. La quattordicenne sembra solo merce, poi si scopre che è immune al fungo. Deve portarla da qualche parte, dalle Luci, cercare di sopravvivere.



La sopravvivenza è la parte accettabile dell’egoismo. La grandezza di questo gioco, al di là della grafica eccelsa, già next-gen, sta nel suo stare continuamente in bilico tra questi due fattori, sopravvivenza ed egoismo. E’ un viaggio che entra prima di tutto nel cuore e poi nella mente, che Joel ti pare di averlo sempre conosciuto, è realistico, spietato ed intimista. Ti sorprende la pesantezza dell’incedere, ti preoccupi per la responsabilità che ti è stata affidata, non riesci a concepire l’idea della spensieratezza. Vai, continui, eviti i pericoli, ti arrabbi contro i nemici, le scene di pesante violenza ti disturbano. Gli infetti, grotteschi, orribili, sono pericolosissimi ma prevedibili. Ma quello che vedi ti fa pensare che i veri nemici della razza umana non sono loro, ma piuttosto gli umani stessi.



Solo combattendo contro di loro ci rendiamo conto che siamo dei privilegiati: quasi nessuno è capace di stare sul filo della sopravvivenza. Gli altri appagano i propri istinti egoistici uccidendo innocenti e credono sia questa la sopravvivenza. Eppure, non sparisce la sensazione di disagio. L’azione di prendere a pugni un altro essere umano, seppur virtuale, rimane sempre dolorosa. Gli avversari sono spietati, veloci, numerosi, forse l’unico difetto è che si lasciano sterminare, ma è solo un artificio di progressione in nome della sfida. Le note di chitarra sono taglienti, prive di qualunque piacevolezza, e quando non loro il silenzio e gli effetti ambientali amplificati. Nel finale, ancora più sconvolgente, assistiamo ad un capovolgimento. Joel si ribella ad una scelta che ha fatto nonostante sapesse benissimo che era inevitabile. Lo guidiamo nei corridoi straripanti di soldati, dopo che l'abbiamo visto pure ferito, agonizzante, lo vediamo spinto dalla furia compiere uno sterminio, lo vediamo cadere dalla linea.

Joel salva Ellie e priva l'umanità di una speranza, forse l'unica, di poter ottenere un antidoto all'egoismo. Lo fa in nome di un egoismo più grande, il suo. Forse stufo di lottare, forse proiettando i ricordi su Ellie, lo vediamo portarsi via la ragazza e basta.

Ma non andate via! Non è finita. Il viaggio, dopo l’anno di tempo che questo ha comportato, si chiude con un’ultima rivendicazione che suona quasi come una vendetta nei confronti di tutta l’ingratitudine esistita e che mai esisterà: Joel giura ad Ellie che tutte le bugie che le ha raccontato sono vere. Lei lo sa, o no, non importa: il gioco si chiude così. Un silenzioso, egoista trionfo che butta un macigno sul cuore dell’utente.


In inglese Naughty Dog vuol dire cane monello, o cane cattivo. Hanno tenuto fede al proprio nome.

Ora scusate ma per oggi la bottega chiude, si è fatto tardi e ho un Uncharted da recuperare.




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