La proliferazione del genere
seinen ha radici decisamente molto recenti. A parte alcune mosche bianche
(DEATH NOTE e Black Lagoon), ben pochi esponenti di questo genere di
anime era riuscito ad arrivare in Occidente, complice anche l’errata nostrana
consuetudine di voler considerare l’animazione un mezzo espressivo da destinare
solo ed esclusivamente all’infanzia. Ora, grazie alla diffusione del
fansub prima e dei canali satellitari dopo, questo genere sta lentamente
uscendo dalla nicchia. Arrivato prima in DVD e poi in televisione grazie al recentemente scomparso Cooltoon di
Sky, Samurai 7 è un’anime che
nonostante le sue evidenti origini cinematografiche non manca talvolta di
impressionare piacevolmente.
In una indefinita epoca
medieval-futuribile che potrebbe essere ricondotta al tempo realmente trascorso
del feudalesimo giapponese, un piccolo villaggio di contadini denominato Kanna
ha bisogno di qualcuno che li protegga dai Nobuseri, famiglia di briganti robotizzati
che puntualmente ogni raccolto provvedono a portarsi via il riso con il potere
garantito loro dalla tecnologia (sia essa la natura mecha o le semplici katane).
Il consiglio decide di inviare nella capitale una delegazione per
reclutare dei samurai, ridottisi a mercenari dopo l’ultima, indefinita grande
guerra. Armata solamente del riso che rimane e della speranza dell’istinto, la
giovane sacerdotessa della dea dell'acqua Kirara, insieme alla sorella minore
Komachi e al contadino insofferente Rikichi intraprenderà un cammino di
crescita per liberare la propria gente. In ventisei episodi faranno questo e
altro, daranno maggiori significati ed interpretazioni a ciò da cui sono
partiti e capiranno che alla fine il tempo della semina torna sempre.
Per riconoscere il sostrato su
cui si basa questo anime basta guardare il titolo: esso infatti è per sommi
capi e personaggi basato su I Sette
Samurai di Akira Kurosawa, riprendendone in toto le caratteristiche
salienti. Tuttavia a dispetto di quanto può sembrare da una prima visione il
film di riferimento non è una traccia seguita pedissequamente ma bensì un
contenitore, dove lo studio Gonzo si impegna, raccoglie quanto di ispirante ha
trovato al suo interno e lo sviluppa in nuove direzioni, esplorando nuovi
orizzonti e possibilità, senza però trascurare riferimenti alla fonte
originale. Primo segno di questo è proprio la decisione di traslare tutto in un
contesto decisamente più fantasioso e audace, mischiato di steampunk e
fantascienza, che viene subito sfruttata per le idee indirette che trasmette
anche in termini di sviluppo dei personaggi. Ecco quindi che il samurai
contadino Kikuchiyo, da guerriero furbo, inselvatichito e totalmente imprevedibile
nelle sue innocenti smargiassate diventa un cyborg che sbuffa vapore quando si
irrita, elevando il suo essere psicologico a ben oltre il desiderio di rivalsa
nei confronti di una classe guerriera ingrata.
L’estensione della serie,
inoltre, ha concesso agli autori un maggiore spazio anche per l’introduzione di
personaggi secondari inesistenti o appena accennati nell’originale, fino ad
elevarli a vero e proprio collante indiretto della vicenda. Il tutto
contribuisce a rendere l’anime perfettamente comprensibile e digeribile anche
da chi non ha visto a suo tempo il film.
I valori produttivi a cui lo
studio Gonzo ci ha da sempre abituati qui vengono nuovamente
confermati e ribaditi. Forti di un budget più che raddoppiato rispetto al
normale, i creativi si sono sbizzarriti e hanno portato in scena un comparto
tecnico solidissimo e doveroso: la qualità dei disegni è inappuntabile, lo
stile è quello tipico, asciutto e spartano, i personaggi sono tutti
graficamente caratterizzati e distinti l’uno dall’altro, in connubio tra il
tradizionale e il futuribile. Gli sfondi sono molto ovattati, impreziositi tuttavia da
rendering 3D fissi degli elementi più complessi, tutto sommato ben fusi con il
disegnato a mano. Uno stile che però non manca di esporre punti deboli: a
parte l’effetto artificioso che certe volte si genera da un
eccessivo stacco tra gli elementi creati al computer e il resto, lo stile è vittima di se
stesso e del proprio gusto per lo scenografico. Non
poche volte l’insieme compare troppo gonfiato, troppo luccicante, troppo folle,
in un paio di episodi anche troppo grezzamente sperimentale, privo di quella dose originale di carnalità, di fango,
sudore e freddo che contribuivano a rendere l’originale decisamente più
“vissuto”, piuttosto che sacrificato a forza sugli altari di metallo lucidato
dei mecha.
Dal punto di vista sonoro la
musica composta è di qualità media, con motivi realizzati soprattutto con
strumenti tradizionali giapponesi e la sporadica introduzione di qualche arco
od ottone, che però, al di là della qualità indiscutibile di alcuni temi,
tendono tuttavia a risultare più velleitari che altro, se escludiamo qualche
scena di battaglia. Infine di buonissima caratura il doppiaggio italiano, che a
parte qualche voce riutilizzata per i personaggi secondari vanta una qualità
recitativa e una scelta delle voci decisamente azzeccata; su tutti spicca Ivo
De Palma (Pegasus di Saint Seiya) a dirigere tutti sotto le vesti di Kambei
Shimada.
Nessun commento:
Posta un commento