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sabato 9 marzo 2013

Recensione Anime: SAMURAI 7


La proliferazione del genere seinen ha radici decisamente molto recenti. A parte alcune mosche bianche (DEATH NOTE e Black Lagoon), ben pochi esponenti di questo genere di anime era riuscito ad arrivare in Occidente, complice anche l’errata nostrana consuetudine di voler considerare l’animazione un mezzo espressivo da destinare solo ed esclusivamente all’infanzia. Ora, grazie alla diffusione del fansub prima e dei canali satellitari dopo, questo genere sta lentamente uscendo dalla nicchia. Arrivato prima in DVD e poi in televisione grazie al recentemente scomparso Cooltoon di Sky, Samurai 7 è un’anime che nonostante le sue evidenti origini cinematografiche non manca talvolta di impressionare piacevolmente.

In una indefinita epoca medieval-futuribile che potrebbe essere ricondotta al tempo realmente trascorso del feudalesimo giapponese, un piccolo villaggio di contadini denominato Kanna ha bisogno di qualcuno che li protegga dai Nobuseri, famiglia di briganti robotizzati che puntualmente ogni raccolto provvedono a portarsi via il riso con il potere garantito loro dalla tecnologia (sia essa la natura mecha o le semplici katane). Il consiglio decide di inviare nella capitale una delegazione per reclutare dei samurai, ridottisi a mercenari dopo l’ultima, indefinita grande guerra. Armata solamente del riso che rimane e della speranza dell’istinto, la giovane sacerdotessa della dea dell'acqua Kirara, insieme alla sorella minore Komachi e al contadino insofferente Rikichi intraprenderà un cammino di crescita per liberare la propria gente. In ventisei episodi faranno questo e altro, daranno maggiori significati ed interpretazioni a ciò da cui sono partiti e capiranno che alla fine il tempo della semina torna sempre.

Per riconoscere il sostrato su cui si basa questo anime basta guardare il titolo: esso infatti è per sommi capi e personaggi basato su I Sette Samurai di Akira Kurosawa, riprendendone in toto le caratteristiche salienti. Tuttavia a dispetto di quanto può sembrare da una prima visione il film di riferimento non è una traccia seguita pedissequamente ma bensì un contenitore, dove lo studio Gonzo si impegna, raccoglie quanto di ispirante ha trovato al suo interno e lo sviluppa in nuove direzioni, esplorando nuovi orizzonti e possibilità, senza però trascurare riferimenti alla fonte originale. Primo segno di questo è proprio la decisione di traslare tutto in un contesto decisamente più fantasioso e audace, mischiato di steampunk e fantascienza, che viene subito sfruttata per le idee indirette che trasmette anche in termini di sviluppo dei personaggi. Ecco quindi che il samurai contadino Kikuchiyo, da guerriero furbo, inselvatichito e totalmente imprevedibile nelle sue innocenti smargiassate diventa un cyborg che sbuffa vapore quando si irrita, elevando il suo essere psicologico a ben oltre il desiderio di rivalsa nei confronti di una classe guerriera ingrata.
L’estensione della serie, inoltre, ha concesso agli autori un maggiore spazio anche per l’introduzione di personaggi secondari inesistenti o appena accennati nell’originale, fino ad elevarli a vero e proprio collante indiretto della vicenda. Il tutto contribuisce a rendere l’anime perfettamente comprensibile e digeribile anche da chi non ha visto a suo tempo il film.

 Ovviamente però questo porta a degli inevitabili rovesci: la narrazione procede a ritmi  alternati, prima introducendo troppe cose in pochi minuti e poi dilungandosi in sequenze di disarmante lentezza immediatamente dopo, in un contrasto che stride; gli sviluppi di trama successivi a quelli del film originale finiscono quindi per non entusiasmare più di tanto, risultando quindi godibili ma prevedibili. L’assenza di un finale netto per certe sotto-trame poi appare ingiustificata rispetto al resto, considerando anche il fatto che il film serbava un finale netto per ciò che la serie TV lascia in sospeso.

I valori produttivi a cui lo studio Gonzo ci ha da sempre abituati qui vengono nuovamente confermati e ribaditi. Forti di un budget più che raddoppiato rispetto al normale, i creativi si sono sbizzarriti e hanno portato in scena un comparto tecnico solidissimo e doveroso: la qualità dei disegni è inappuntabile, lo stile è quello tipico, asciutto e spartano, i personaggi sono tutti graficamente caratterizzati e distinti l’uno dall’altro, in connubio tra il tradizionale e il futuribile. Gli sfondi sono molto ovattati, impreziositi tuttavia da rendering 3D fissi degli elementi più complessi, tutto sommato ben fusi con il disegnato a mano. Uno stile che però non manca di esporre punti deboli: a parte l’effetto artificioso che certe volte si genera da un eccessivo stacco tra gli elementi creati al computer e il resto, lo stile è vittima di se stesso e del proprio gusto per lo scenografico. Non poche volte l’insieme compare troppo gonfiato, troppo luccicante, troppo folle, in un paio di episodi anche troppo grezzamente sperimentale,  privo di quella dose originale di carnalità, di fango, sudore e freddo che contribuivano a rendere l’originale decisamente più “vissuto”, piuttosto che sacrificato a forza sugli altari di metallo lucidato dei mecha.
Dal punto di vista sonoro la musica composta è di qualità media, con motivi realizzati soprattutto con strumenti tradizionali giapponesi e la sporadica introduzione di qualche arco od ottone, che però, al di là della qualità indiscutibile di alcuni temi, tendono tuttavia a risultare più velleitari che altro, se escludiamo qualche scena di battaglia. Infine di buonissima caratura il doppiaggio italiano, che a parte qualche voce riutilizzata per i personaggi secondari vanta una qualità recitativa e una scelta delle voci decisamente azzeccata; su tutti spicca Ivo De Palma (Pegasus di Saint Seiya) a dirigere tutti sotto le vesti di Kambei Shimada.

 La celebrazione del cinquantesimo anniversario del film I Sette Samurai di Akira Kurosawa era un compito difficile, difficile e pesante. Considerato come il prototipo del film d’azione e, anzi, il miglior film mai fatto nel Sol Levante, il film raccontava uno spaccato di storia del tempo feudale di quel paese, in una vicenda probabilmente mai accaduta eppure assolutamente verosimile, la dimostrazione che in fondo il bushido non è solo il forse inevitabile seppuku, ma è anche e soprattutto il codice che insegna ad essere buoni e a difendere gli altri per imparare a vincere con se stessi. Ancora più audace è stata la scelta operata dallo studio Gonzo di traslare tutto in un contesto spiccatamente steampunk, forte della maggiore libertà creativa e di invenzione se vogliamo anche pacchiana. Il risultato non è un capolavoro immortale, ma un prodotto ben cucinato, perfettamente in grado di riadattarsi e riadattare, sviluppando una sua personalità e una sua logica, sostenuto da una trama forte e coerente e un comparto tecnico doveroso. Coloro che passeranno sopra ai cambiamenti vi ritroveranno la stessa pacata, determinata parabola medievale che, nonostante pecchi sia di slanci che di eccessiva idealizzazione, funziona alla perfezione anche nelle parti che esulano dalla linea narrativa originale, forti della consapevolezza che “Sarà una battaglia aspra e non avrete altra ricompensa se non il riso che mangerete.”


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