Sappiamo
tutti bene del fallimento della THQ,
di come sia stata smembrata e i suoi studi di sviluppo seminati qua e là per il
mondo e per le altre grandi aziende. Ma una cosa colpisce: il fatto che nessuno
si sia comprato né la proprietà intellettuale di Darksiders né lo studio responsabile, la Vigil Games. Ma per quale
ragione è successo questo? La risposta che ci hanno raccontato, o per meglio
dire ci hanno servito su di un vassoio di legno, è stata quella che il prezzo d’asta
iniziale era stato fissato come troppo alto, e tanti saluti. Ma sinceramente,
proprio non convince. Cioè, a chi scrive sembra proprio una scusa che non sta
in piedi.
I
più informati potrebbero aggiungere il fatto che la fuga di Joe Madureira, il
padre della serie, avesse oltremodo nociuto alla credibilità dello studio. E ci
può anche stare, un granello di senso ce l'ha. Ma poi
ci pensi ed arrivi a capire che se la Vigil Games avesse davvero perso di
credibilità non avrebbero certo chiesto tutti quei soldi all’asta, l’avrebbero
liquidata con poco e buonanotte al cimitero. Perché una IP oggettivamente
inferiore come Homefront l’hanno
venduta e Darksiders invece ormai è
zombificata, coi dipendenti che presumibilmente finiranno tutti per strada? La
risposta è molto semplice, anche se infinitamente scomoda per tutti.
La
Vigil Games fa giochi difficili.
Adesso
non vogliamo fare della vecchiaia spicciola da “si stava meglio quando si stava
peggio”, non è né il tempo né il luogo. Ma ci sta una considerazione semplice, una constatazione dei fatti, della visione e delle prospettive
strategiche che si sono delineate nell’ultima generazione di console. Ce ne
siamo accorti pochissimo, è stata una cosa successa così lentamente da non
essere notata, ma i giochi sono diventati facili. Tanto, troppo facili.
Tralasciando
l’inserimento degli indicatori di viaggio, che ci può anche stare considerando
la grande scala e quindi la dispersività dei titoli odierni, la sfida si è
appiattita, per non dire che è sparita del tutto. Non sia mai che venga
sbattuto in faccia all’utente quella blasfema schermata con sopra scritto Game
Over, non sia mai che si stimolino le persone a far fare un po’ di cyclette alle
cellule cerebrali. Adesso per “enigma” si intende “raccogli questo, mettilo
dove ti dico io ma solo lì eh, che sennò poi ti sforzi, segui la freccetta-guida
mi raccomando”.
E
qual è la ragione di questo? Semplice, che il videogioco è arrivato troppo
presto ad un pubblico che non era stato culturalmente preparato ad accoglierlo
per quello che è, ovvero esercizio intellettuale e culturale. Cosa che può
generare solo una conseguenza: che più di metà utenza attualmente videogiocante
i titoli che compra non li finisce neppure
una volta.
Un
simile modo di fare spacca a metà gli utenti: da una parte ci sono quelli con
un po’ di esperienza, che sfiduciati si rifugiano nel retrogaming, che
cominciano a borbottare del fatto che si sentono parte di una elite
aristocratica che celebra i pixel perpendicolari come divina rivelazione e la
difficoltà estrema e flagellante come corredo di profezia. Dall’altra ci sono
invece quelli che si aggrappano alle uscite annuali di prodotti commerciali
come pochi, che si affidano alla quanto mai mendace immagine di “videogioco
uguale famigliola felice che cinguetta davanti alla console” oppure, ancora
peggio, di balocco per bambini o “vizio perverso” per gente mentalmente poco
cresciuta.
E
le conseguenze a livello di produzione sono anche peggio. Gli sviluppatori
stanno dimenticando (o reprimendo, fate voi) cosa vuol dire fare la difficoltà.
Non che a chi scrive non piaccia Assassin’s
Creed, ma la ragione per cui ha un livello di difficoltà che sembra acqua
sta tutta qui. E Lego Il Signore Degli
Anelli ha un destino simile: qui non ci sono neppure le
sanzioni se il giocatore muore accidentalmente, si riparte dallo stesso punto
all’infinito.
E
si finisce con lo spacciare un gioco per difficile quando invece è solo
frustrante. Sì, stiamo parlando proprio con voi, Dark Souls e Demon’s Souls.
Voialtri giochi non siete difficili, ma solo terribilmente iniqui. Ed è proprio l’iniquità
che stressa, che fa venire voglia di scagliare il controller contro il
televisore.
La
difficoltà non è la sanzione pesante e reiterata sull’utente, non è l’obbligo a
vendere la propria anima e impararsi a memoria tutti i segreti del livello
passo dopo passo. La difficoltà vera è il fatto di far svegliare l’utente, è lo
spingerlo ad esplorare nuove soluzioni, è lo spingerlo a pensare strategicamente,
prendere decisioni e cambiarle e rivederle qualora non funzionassero.
Altrimenti
non ci si spiegherebbe perché con Catherine
o Ultimate Ghosts ‘N Goblins ci si passano tranquillamente quindici ore senza un filo di frustrazione e invece con Demon’s Souls dopo due ore scarse vuoi
usare il disco del gioco come sottobicchiere.
Chi
ha giocato uno dei due Darksiders sa
di che cosa sto parlando. I combattimenti tengono svegli, gli enigmi sono giustamente machiavellici, le competenze si accumulano e le situazioni si complicano. Quelli come loro sono giochi che ci dicono che si può morire accidentalmente in un combattimento
casuale e ripartire dall’ultimo checkpoint, che ci dicono che si può girovagare
per delle ore per cercare di risolvere un enigma, ribadisce (o, per meglio
dire, insegna) che un muro invisibile nelle ambientazioni è lecito metterlo se
serve a far muovere le levette al giocatore e indurlo ad esplorare di più il
mondo virtuale. Dice che è lecito lanciare improperi contro il software e
lasciar perdere, poi riprenderlo il giorno dopo e vedere una nuova possibilità,
quella giusta che ti fa andare avanti. Darksiders
ricorda ed insegna che è naturale, buono e giusto smettere di giocare dopo un’ora perché ti
finiscono gli zuccheri al cervello, proprio perchè i videogames sono per
svegliare la mente e non rattrappirla attraverso la passività o l'imparare a memoria.
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